Nell'agosto del
2004 nella contea di Kipini nel Nord del Kenya, nelle foreste di mangrovie e
manghi, un piccolo branco di leoni gettava nello scompiglio gli allevatori
della tribù Orma perché di notte divorava molti capi delle mandrie di zebu. Tra
questi leoni, uno in particolare era talmente forte da saltare nei recinti dove
di notte venivano riparate le mandrie ed uscirne trascinando oltre la
staccionata un capo intero tra le fauci. Estenuati, dopo molte perdite, gli
allevatori decisero di organizzare degli appostamenti notturni per abbattere il
leone.
Ma il destino volle che della cosa ne venisse a conoscenza Luca Macrì, un italiano oggi di 35 anni, nato a Nairobi, sempre vissuto in Africa, guida esperta e profondo conoscitore della savana e dei suoi animali: «Seppure comprendevo benissimo le ragioni degli allevatori, non potevo permettere che si abbattesse un leone per un così futile motivo. Queste bestie sono ormai in pericolo di estinzione ed anche una sola di loro è un grande patrimonio per l'ambiente e per il paese». Luca, che parla perfettamente swahili e completamente integrato nell'ambiente locale, volle incontrare Barisa Jilo, capo della tribù di allevatori e si fece raccontare i fatti. Decise allora di chiedergli una settimana di tempo per tentare di catturare il leone per spostarlo dalla zona, evitandone così l'abbattimento. Ottenuta la disponibilità dagli allevatori, si recò al distretto del Kenya Wildlife Service di Lamu per chiedere che gli fosse messa a disposizione una trappola a gabbia con cui tentare la cattura del leone.
I ranger di Lamu gli fornirono la trappola, una grossa gabbia con l'entrata a ghigliottina pronta a chiudersi una volta che la fiera fosse entrata attirata dall'esca. Luca provvide anche a rinforzarla, immaginando che in caso di successo avrebbe dovuto sostenere la furia di una animale di 220 Kg di muscoli e ferocia.
Fu così che, aiutato solo dall'ormai fido braccio destro che abita nella zona, zio Salim, la collocò nei pressi di un recinto di bestiame del villaggio di Kilelengwani, con legata all'interno una grande esca di carne.
«Quando vennero a chiamarmi all'alba dicendomi che l'avevo catturato non potevo credere alle mie orecchie. Mi precipitai sul posto e in effetti nella gabbia c'era un vecchio maschio ruggente. Travolto da una emozione di felicità e stupore commisi anche l'imprudenza di balzare fuori della jeep per avvicinarmi subito alla trappola, senza badare che dietro di essa era rimasta una leonessa vicina al suo maschio, che per fortuna spaventata scappò via scomparendo nella vegetazione».
Il leone stava bene, se non per alcune ferite che si era procurato sbattendo furiosamente il muso sulle sbarre nel tentativo di liberarsi.
«Per diversi giorni - ricorda Luca - la bestia non accettò cibo né acqua. Era furiosa, ma occorreva calmarla per trasportarla nello Tasvo est, il grande parco di 13mila kmq a nord di Mombasa, dove intendevo liberarla con il consenso delle autorità». Poi un giorno, vinto della sete, il leone iniziò a calmarsi, a bere e poi a mangiare, consentendo il trasporto in tutta sicurezza.
«Fu a quel punto che caricammo la gabbia su un camion e che con un viaggio di 380 Km quasi interamente di piste sterrate lo liberammo nell'area protetta che avevamo individuato».
Ma il lieto fine non riguarda solo il leone e gli allevatori, ma anche Luca stesso. Il Kenya Wildlife Service, colpito dall'iniziativa di Luca, lo ha infatti nominato Ranger onorario con una cerimonia che si è svolta nel novembre dello stesso anno a Nairobi presso gli uffici generali del KWS.
Certamente l'onorificenza lo ha riempito di orgoglio, ma la gioia più grande è stata quando gli è capitato di rivederlo, riconoscendolo dalle cicatrici sul muso, durante qualche safari nello Tasvo est: libero, maestoso e soprattutto vivo.
Ma il destino volle che della cosa ne venisse a conoscenza Luca Macrì, un italiano oggi di 35 anni, nato a Nairobi, sempre vissuto in Africa, guida esperta e profondo conoscitore della savana e dei suoi animali: «Seppure comprendevo benissimo le ragioni degli allevatori, non potevo permettere che si abbattesse un leone per un così futile motivo. Queste bestie sono ormai in pericolo di estinzione ed anche una sola di loro è un grande patrimonio per l'ambiente e per il paese». Luca, che parla perfettamente swahili e completamente integrato nell'ambiente locale, volle incontrare Barisa Jilo, capo della tribù di allevatori e si fece raccontare i fatti. Decise allora di chiedergli una settimana di tempo per tentare di catturare il leone per spostarlo dalla zona, evitandone così l'abbattimento. Ottenuta la disponibilità dagli allevatori, si recò al distretto del Kenya Wildlife Service di Lamu per chiedere che gli fosse messa a disposizione una trappola a gabbia con cui tentare la cattura del leone.
I ranger di Lamu gli fornirono la trappola, una grossa gabbia con l'entrata a ghigliottina pronta a chiudersi una volta che la fiera fosse entrata attirata dall'esca. Luca provvide anche a rinforzarla, immaginando che in caso di successo avrebbe dovuto sostenere la furia di una animale di 220 Kg di muscoli e ferocia.
Fu così che, aiutato solo dall'ormai fido braccio destro che abita nella zona, zio Salim, la collocò nei pressi di un recinto di bestiame del villaggio di Kilelengwani, con legata all'interno una grande esca di carne.
«Quando vennero a chiamarmi all'alba dicendomi che l'avevo catturato non potevo credere alle mie orecchie. Mi precipitai sul posto e in effetti nella gabbia c'era un vecchio maschio ruggente. Travolto da una emozione di felicità e stupore commisi anche l'imprudenza di balzare fuori della jeep per avvicinarmi subito alla trappola, senza badare che dietro di essa era rimasta una leonessa vicina al suo maschio, che per fortuna spaventata scappò via scomparendo nella vegetazione».
Il leone stava bene, se non per alcune ferite che si era procurato sbattendo furiosamente il muso sulle sbarre nel tentativo di liberarsi.
«Per diversi giorni - ricorda Luca - la bestia non accettò cibo né acqua. Era furiosa, ma occorreva calmarla per trasportarla nello Tasvo est, il grande parco di 13mila kmq a nord di Mombasa, dove intendevo liberarla con il consenso delle autorità». Poi un giorno, vinto della sete, il leone iniziò a calmarsi, a bere e poi a mangiare, consentendo il trasporto in tutta sicurezza.
«Fu a quel punto che caricammo la gabbia su un camion e che con un viaggio di 380 Km quasi interamente di piste sterrate lo liberammo nell'area protetta che avevamo individuato».
Ma il lieto fine non riguarda solo il leone e gli allevatori, ma anche Luca stesso. Il Kenya Wildlife Service, colpito dall'iniziativa di Luca, lo ha infatti nominato Ranger onorario con una cerimonia che si è svolta nel novembre dello stesso anno a Nairobi presso gli uffici generali del KWS.
Certamente l'onorificenza lo ha riempito di orgoglio, ma la gioia più grande è stata quando gli è capitato di rivederlo, riconoscendolo dalle cicatrici sul muso, durante qualche safari nello Tasvo est: libero, maestoso e soprattutto vivo.
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